Il seme del Regno – Pastore Giovanni Di Sano

Il seme del Regno – Pastore Giovanni Di Sano

Spesso, vorremmo non usare la nostra bocca per dire cose negative, ma ci mancano cose positive da dire e ti dirò una cosa: se non leggi la Parola di Dio, non avrai nulla da dire da Dio. 

Mentre mi preparavo, chiedevo al Signore quale parola ci debba essere nella nostra bocca affinché essa sia efficace. 

In Matteo 13:13-15 troviamo la richiesta che i discepoli fanno a Gesù: insegnaci a pregare.

La risposta che Gesù dà in quel momento è quella preghiera che conosciamo come “Padre Nostro” e che contiene una richiesta particolare: “venga il Tuo Regno”. 

Se c’è un Regno, c’è un Re e questo Re è Gesù. 

Se Gesù è il Re, chi è il re della mia vita? 

Non sono io. Ma allora, se Lui è il Re, come mai conduco io la mia vita? 

Spesso consideriamo troppo “ovvio” e scontato il fatto che il Re del Regno di cui desideriamo la venuta sia proprio Gesù e di conseguenza conduciamo da noi stessi le nostre vite, come se Lui non fosse il Re. 

Ma Lui è il Re!

Gesù non è venuto solo a salvare, liberare e guarire, ma è venuto a stabilire il Suo Regno: una dimensione, una realtà in cui non siamo più né io né te a decidere. 

Un regno in cui siamo chiamati ad ubbidire, non a decidere. 

Abbiamo, del concetto di regno, un’idea distorta, in cui i sudditi non vivono al livello del Re, ma nel Regno di Dio la stessa qualità di vita che vive Dio, la vive chi ne è cittadino. 

“Venga il tuo regno” significa: “Signore, sia stabilità la tua perfetta volontà” e quindi il Regno di Dio – che consiste in giustizia, pace e gioia nello spirito (finché Gesù non tornerà per la seconda volta) – richiede una completa ubbidienza alla volontà del Re. 

All’origine della creazione era così: tutto era in armonia tra la volontà del re e quello che era l’agire dei sudditi del regno. 

L’avversario si manifesta come tale proprio per la disubbidienza. 

In Matteo 13, Gesù inizia a parlare con quelle che chiamiamo le parabole del regno. Attraverso esse inizia a spiegare il Regno, affinché “vedendo, non vedano e udendo, non odano…”. Il cuore del popolo, scriveva il profeta, era divenuto insensibile e per questo, parlando in parabole, Gesù parla a coloro che erano realmente interessati e che, essendolo, avrebbero fatto le domande giuste. 

Dopo la prima di queste parabole, anche gli stessi discepoli chiedono spiegazioni. C’è bisogno di spiegazioni perché è necessario che lo Spirito Santo riveli i “misteri” (cose nascoste che lo Spirito può farci ricevere e comprendere). 

Quando Gesù parla del seminatore, in Marco 4:13, Gesù si stupisce del fatto che non avessero compreso quella parabola. Quella parabola contiene, infatti la “base” per comprendere tutto quello che Gesù avrebbe detto a proposito del Regno di Dio. 

Il Regno di Dio non è la salvezza: essa è un prerequisito per vedere ed entrare nel Regno di Dio! Lo ripeto: IL REGNO DI DIO NON È LA SALVEZZA. 

Matteo, Marco e Luca parlano di questa parabola, ma solo Matteo ci riporta la spiegazione che troviamo nel capitolo 13, dal verso 18 al verso 23

Gesù non sta parlando di una comprensione a livello descrittivo o narrativo, ma sta parlando di ricevere o non ricevere le promesse che sono contenute in quello che ha detto. 

La prima cosa che Gesù dice è che la Parola viene portata via dal maligno. Poi parla di quelli che ricevono “con gioia” la Parola, ma non avendo essa messo radici, vengono scandalizzati dalle tribolazioni che arrivano “a causa della Parola”. 

C’è poi quello che riceve una Parola che diviene infruttuosa. 

La quarta condizione, il quarto terreno, è quella di chi “comprende” (rivelazione) la Parola e lascia che essa porti frutto. 

Qui Gesù accosta il seme alla Parola del Regno.

Ci sono tre soggetti iniziali e cruciali in questa parabola: il SEME (parola del Regno), il suolo e gli ostacoli. 

Il seme è la Parola che tratta del Re e stabilisce la qualità ed il tipo di vita che viviamo dopo la salvezza. Se prendiamo Giovanni 3, troviamo una esortazione ben nota a “cercare prima il Regno di Dio e tutte le altre cose ci saranno sopraggiunte”. L’esportazione non è a cercare “solo” il Regno, ma a cercarlo prima di ogni altra cosa. 

Giovanni 3:3 ci riporta il dialogo tra Gesù e Nicodemo. Gesù spiega a Nicodemo che il Regno va “visto”, ma per vederlo devi averne rivelazione. Al verso 5, Gesù è ancora più specifico nel dire che la precondizione per vendere ed entrare nel Regno è la salvezza. Essa, però, ti porta a vedere il Regno, ci porta a poterci entrare, ma non implica in automatico che ci siamo dentro.

Vi faccio un esempio: il popolo di Israele, dopo essere stato liberato, è forse automaticamente entrato nella terra promessa? No. Quel popolo ha attraversato il deserto: il tempo della prova della fede. La tua fede, visto che siamo chiamati a vivere per la nostra fede, dovrà essere provata. 

Non è il tuo essere credente a fare la differenza, ma quanto comprendi di aver bisogno di Dio e quanto lo riconosci, davvero, come Re!

Dopo aver dato la chiave per comprendere quella parabola, dopo aver dato quella chiave per comprendere il Regno, Gesù non spiegherà più le altre.

Se l’uscita dall’Egitto è stata salvezza, Il popolo – pur avendo “visto” la terra promessa – non vi entra ancora. 

Ascolta, Mosè ha visto il Regno, ma non vi è entrato a causa di una sua disubbidienza. Vi si entra solo attraverso la perfetta ubbidienza.

Il regno è ESPRESSIONE, MANIFESTAZIONE e RIVELAZIONE di tutto ciò che è il Re nella sua natura, carattere e potenza. Dove il Re è ubbidito, lì c’è il Regno, il Regno non dobbiamo stabilirlo noi, ma vi possiamo entrare attraverso la nostra ubbidienza che ci rende partecipi della natura divina. Entriamo in un territorio in cui il Re, Gesù, ci mette a parte di tutto ciò che Egli è!

II Pietro 1:4 ci parla proprio di diventare partecipi della natura divina: quando entriamo nel Regno siamo partecipi della natura divina di Dio.

Se Dio ti chiede di perdonare, devo perdonare, perché altrimenti sto disubbidendo è così facendo sono fuori dal Regno. Ogni volta che non faccio la volontà del Re è come non fidarsi de fatto che il Re si sarebbe preso cura di me per la mia ubbidienza. 

I limiti del Regno sono proprio la mia ubbidienza e disubbidienza. 

Il secondo soggetto della parabola è il “suolo”. Il terreno con poca terra sulla roccia indica la persona “superficiale” che prova tutto, passando da una cosa all’altra è alle prime persecuzioni si tira indietro. Ti basta che qualcuno ti accusi di aver “cambiato religione” e questo ti mandi in confusione… Ti basta la prima persecuzione “a motivo della Parola” per essere scandalizzato.

Altro terreno è quello selvaggio ed incolto: la priorità non è il regno, ma altro e tu cerchi di provvedere a te stesso ed è un inganno sottile. 

Poi, c’è il terreno pronto, ricco e preparato per essere coltivato attraverso la Parola. Il Re è interessato all’armonia tra i sudditi, non è un re terreno, di quelli interessati ad arraffare ciò che non hanno seminato: Dio ha tanto amato il mondo che ha… dato, ha dimostrato il proprio amore “dando”. Dio è un donatore allegro ed è per questo che ama il donatore allegro, che dà senza chiedere nulla in cambio. 

Terzo soggetto: gli impedimenti. 

Il primo di essi è il nemico, che non cerca di rubare qualcosa che non sia stato già depositato nel tuo cuore. In altre parole, ogni volta che tuo ed io e te veniamo in chiesa, il tuo spirito sta comunque ricevendo qualcosa. Perché la Bibbia ci conferma che anche il seme che viene lanciato per la strada è oggetto del “furto” da parte del nemico. 

Ogni volta che ricevi una Parola e la esprimi, arriverà sempre una piccola o grande “persecuzione”: la Bibbia non dice “se” arriva la persecuzione, ma dice “quando”. 

Ci sono anche ansietà e preoccupazioni di questa vita: cose che provocano una “divisione” nella nostra mente: un’incertezza che fa crescere nel nostro cuore spine e triboli. Cose che soffocheranno il seme. Attenzione, il terreno non è un cattivo terreno, perché qualcosa vi cresce, ma crescono spine e triboli. 

Non abbiate la mente divisa: non date retta sia alla Parola che alle preoccupazioni! Questo essere “divisi” ci distrae dal Regno. 

Ansietà, ma anche amore per le ricchezze. 

Attenzione, non si parla  di prosperità, perché essa è frutto di benedizione, mentre l’amore per le ricchezze è idolatria. 

L’abbondanza di Dio non ha a che fare con i soldi, ma con la benedizione e d’altro canto ci sono tante persone che, pur avendo molti soldi, non sono affatto prospere!

Lo stesso PAOLO, nella prima lettera a Timoteo, al capitolo 6, verso 17 parla di questo non riporre la propria certezza nell’inganno delle ricchezze! Sapete perché è un inganno? Perché se cedi ad esso, sotto sotto, smetti di credere che sia Dio a provvedere a te! 

Se c’è un problema nella mia vita ed io sono sotto il Re, il problema non è mio, ma Suo. 

La priorità è il Regno e non sto parlando del “Regno della domenica”, ma di essere completamente ubbidienti a Dio. 

Proseguendo la lettura da I Timoteo 6, dal verso 9 al verso 11 troviamo una esortazione a “fuggire” a non contendere con certe cose che mirano ad occupare il posto di Dio. 

II Timoteo 4:10 ci riporta ad un personaggio, Dema, che “avendo amato questo mondo” lascia Paolo.

Dobbiamo spodestare dal trono il nostro IO. Spesso ho a che fare con persone che dicono “secondo me…”, “io la vedo così…”. Persone che, così dicendo, non riescono a vedere le cose con gli occhi di Dio. Con gli occhi di colui che è il Re. 

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